Amministrazione di sostegno, quando il beneficiario è contrario alla nomina
Il caso di cui oggi voglio parlarti si è svolto nella città di Brindisi e riguarda Franco e Giuseppe (nomi di fantasia), rispettivamente amministratore di sostegno e beneficiario.
Il giudice tutelare del Tribunale di Brindisi, su richiesta dei servizi sociali del Comune, nominava Franco amministratore di sostegno a tempo indeterminato di Giuseppe, attribuendogli i poteri, le facoltà e i doveri analiticamente indicati nel decreto di nomina. Questo provvedimento, voglio ricordarlo, è il punto di partenza più importante, in quanto dall’esame dello stesso si comprende fino a che punto abbia la possibilità di agire un Amministratore di sostegno.
Avverso tale provvedimento, Giuseppe proponeva reclamo alla Corte d’Appello di Lecce, la quale confermava la nomina dell’amministratore di sostegno a tempo indeterminato, stabilendo che Franco avrebbe dovuto “assistere il beneficiario nella realizzazione delle condizioni necessarie a rendere abitabile la propria casa, nonché nella cura della propria persona e del proprio stato di salute”. Stabiliva altresì che “l’amministrato conserva la piena capacità di compiere gli atti di ordinaria amministrazione dei propri beni e di riscuotere la propria pensione, da destinarsi alla sua cura e mantenimento”. Poteri, quindi, abbastanza limitati, tenuto conto che riguardavano solo due adempimenti.
Tuttavia, Giuseppe proponeva ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, sostenendo principalmente che, dai documenti esibiti in atti, si evinceva chiaramente che fosse perfettamente in grado di provvedere alla sua salute e dei suoi interessi
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1782 del 2024, ha richiamato i “principi consolidati” in tema di amministrazione di sostegno, in base ai quali, anzitutto, “nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall’interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione e la dignità personale dell’interessato”, in quanto “l’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido”.
In particolare, l’opposizione da parte del beneficiario alla nomina dell’amministratore di sostegno deve essere “opportunamente considerata, a meno che non sia provocata da una grave patologia psichica tale da rendere l’interessato inconsapevole del bisogno di assistenza”.
Nel caso che ci riguarda, la Corte d’Appello di Lecce aveva confermato la nomina dell’amministratore di sostegno per tutelare Giuseppe “dallo stato di scompenso psicologico in cui versa[va], stato che comporterebbe la parziale inettitudine alla cura dei suoi interessi e un temporaneo isolamento relazionale” (egli era, infatti, sprovvisto di rete familiare ed in elevato conflitto con la ex moglie e la unica figlia).
La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto che non fossero stati esaminati in maniera completa i documenti allegati da Giuseppe, documenti da cui si deduceva una sua capacità a gestire le proprie vicende personali e patrimoniali, malgrado avesse avuto uno scompenso psicologico temporaneo. Per tali motivi la Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso, ha cassato il decreto impugnato e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Lecce, affinché questa, in diversa composizione, esamini nuovamente il caso.
La vicenda ci deve far ben comprendere che non è semplice decidere di proporre una richiesta di nomina di amministratore di sostegno a favore di una persona; l’istituto si è molto diffuso, ma i giudici sono sempre più attenti alla posizione del beneficiario e ai suoi desideri. Ciò in quanto non sarebbe corretto disporre una limitazione allo stesso, se non fosse un’effettiva necessità.
Ecco perché è compito del professionista analizzare e comprendere l’effettiva necessità della presenza di questo soggetto che affianchi chi ha bisogno di aiuto. Ormai, una volontà contraria espressa da un possibile beneficiario deve assolutamente essere tenuta in considerazione.
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